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		L'ALLESTIMENTO DELLE SCENE 
		  
		CONSIDERAZIONI … DA RETROPALCO  
		Una volta tanto non trattiamo di 
		massimi sistemi ma di concreta gestione giornaliera, indispensabile allo 
		svolgimento della nostra grande passione che è l’attività teatrale 
		amatoriale in dialetto. Lasciate da parte tutte quelle che potremmo 
		classificare come esigenze artistiche di base, ci vogliamo dedicare ad 
		un esame dell’aspetto meramente organizzativo–logistico nell’ambito di 
		una giornata che preveda un’uscita serale. E’ bene che si sappia subito 
		che noi compagnie amatoriali abituate ad allestire spettacoli nei vari 
		teatri comunali, nelle sale polivalenti di circoli e parrocchie e nelle 
		piazze non disponiamo, certo, di una organizzazione parallela che 
		anticipa il nostro arrivo sulle piazze e nei teatri per prepararci tutto 
		quello che serve per lo spettacolo serale. Il nostro “TIR“ pieno di 
		materiale di scena e attrezzatura varia è un modesto camioncino 
		centinato in grado di accogliere tutti i nostri orpelli utili a dare 
		vita ad una cumegia . Moderno carro di Tespi col quale 
		ogni volta affrontiamo una sorta di migrazione che ci porta in ogni 
		angolo della Romagna, e anche oltre, ad esibire una lingua che non 
		disdegna questo tipo di assistenza pur di rimanere viva, presente, 
		protagonista almeno per una sera  visto che non può più esserlo nel 
		vissuto quotidiano, in genere, com’era un tempo. 
		
			
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				 In preparazione ad ogni serata di spettacolo
				u j è da fè’ e’ camion: ovvero occorre prelevare 
				dal magazzino il materiale di scena dedicato alla commedia 
				interessata e stiparlo nel camioncino. Sì, perché ad ogni 
				commedia compete il suo corredo di scena e quando si è 
				costituito un repertorio di commedie minimamente vario da 
				portare in giro, questo comporta inevitabili, frequenti, 
				trasbordi di materiale di scena. Non sembri cosa di poco conto, 
				è questa una fase della nostra attività che non presenta nulla 
				di artistico ma essenziale per la realizzazione finale dello 
				spettacolo. Di conseguenza il discorso si trasferisce pari pari 
				al montaggio in loco di tutto il materiale precedentemente 
				movimentato e questo richiede, inevitabilmente, di presentarsi 
				nei posti deputati allo spettacolo già nel tardo pomeriggio per 
				cui alcuni  componenti il gruppo artistico partono 
				all’avanscoperta. Il tempo necessario per realizzare l’ambiente 
				della storia da rappresentare, per allestire tutto l’apparato 
				luci e l’impianto audio-microfonico. Tutte mansioni che ai 
				nostri livelli non possono essere demandate ad esterni poiché 
				ciò farebbe lievitare in maniera non più sostenibile i costi.  | 
			 
		 
		
			
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				  Si comprende quindi come e in quale misura 
				sia presente una componente di pura fatica fisica a latere di 
				ogni commedia rappresentata. In una realtà del genere va da sé 
				che non c’è spazio né cultura per atteggiamenti di divismo 
				hollywoodiano da parte di chicchessia. Non di rado in questa fase pre-spettacolo si 
				incontrano difficoltà e sorprese una volta giunti sul posto. 
				Come quella volta che ci trovammo a dover  allestire le 
				scenografie dello spettacolo all’interno di una chiesa proprio 
				nello spazio antistante l’altar maggiore oppure quella volta in 
				cui ci trovammo di fronte ad un palcoscenico costituito da un 
				rimorchio agricolo… Sorprese e inconvenienti della 
				diretta, direbbe qualcuno, comunque contrattempi mai tali da 
				impedire la realizzazione dello spettacolo e interrompere la 
				comunicazione col nostro popolo che corre ad applaudirci. 
				Difficoltà, fatiche ed ansie scompaiono quando anche l’ultimo 
				attore ritardatario ci ha raggiunto e, finalmente , suona la 
				campanella che richiama l’attenzione del pubblico all’inizio 
				dello spettacolo. D’incanto il carpentiere che ha assemblato le 
				scene diviene un sacerdote deus ex machina in una storia di 
				sapore popolare, colui che ha curato l’impianto luci assume le 
				sembianze di un saccente avvocato, i pannelli installati a furia 
				di martellate divengono, nell’immaginario, un panoramico 
				paesaggio… e il pubblico risulta catturato dentro tutto ciò. 
				Frutto mirabolante di una sinergia composita che ogni volta 
				consente il ripetersi del miracolo scenico! E non si creda che 
				il momento scenico sia scevro da imprevisti e/o sorprese che 
				vanno ben oltre il malfunzionamento di una spina elettrica o il 
				fulminarsi di un faro (quando non salti l’intero impianto 
				elettrico). Gli eventi, reali, che possono investire un attore o 
				un’attrice mentre svolgono le loro parti sono sempre in agguato. 
				Così può capitare, come ci è effettivamente capitato, che 
				un’attrice perda i sensi per un repentino calo di pressione 
				appena uscita di scena (vi lascio immaginare il trambusto 
				conseguente dietro le scene) oppure che un attore tardi ad 
				entrare nel vivo della scena, mettendo così in grave difficoltà 
				i colleghi che attendono la sua entrata, perché è fermo per 
				avaria  ai box. Ovvero ha, inavvertitamente, dato una capocciata 
				contro una sporgenza nel retropalco per cui si è resa necessaria 
				l’applicazione di un cerotto di emergenza per tamponare un 
				taglio cutaneo. Varietà dietro le quinte!. Varietà nel varietà! 
				Non per nulla sono state scritte anche commedie di successo su 
				queste situazioni: mo e’ spetacul e’ va avânti l’instes! 
				perché il pubblico è lì per vivere ciò che si rappresenta in 
				scena non per farsi carico delle disavventure personali degli 
				attori e l’applauso finale è più forte di qualsiasi avversità.  | 
				
				 
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				 Mo la n’è fnida! Terminato lo spettacolo non 
		è concesso rilassarsi più di tanto: c’è da smontare tutto e rimettere 
		armi e bagagli di nuovo sul carro, pardòn, sul camioncino, per fare poi 
		ritorno alla base. Una sera, meglio sarebbe dire una notte visto che 
		eravamo intorno a  mezzanotte, mentre a commedia terminata stavamo 
		riportando tutte le nostre masserizie nel camioncino parcheggiato in 
		strada (fra l’altro stava anche piovendo) registrammo il passaggio di 
		una persona anziana che equivocando sul nostro operato scosse il capo e 
		giudicò così il nostro lavoro: “ Valà, valà, a vut che sia questa l’òra 
		ad sbagajè, cun un temp acsè !“ .  Infine una sosta in pizzeria 
		suggella la conclusione effettiva dello spettacolo; sì, perché la 
		famiglia teatrale al completo, così come le migliori famiglie 
		patriarcali allargate d’altri tempi, si ritrova volentieri cun i pì 
		sóta a la tëvla.  | 
			 
		 
		
		  
		Quello che è venuto fuori da questa chiacchierata è 
		il sunto di una giornata tipo di ordinaria sortita teatrale e mi pare di 
		poter affermare che non si tratta certo di una giornata noiosa! Ecco, 
		moltiplicate per parecchie decine di volte, pari alle serate impegnate 
		in un anno in giro per la Romagna, e avrete un’idea dell’impegno, fuori 
		scena, cui è sottoposta una media compagnia teatrale di dialetto. Poi 
		moltiplicate ancora per alcune altre decine di volte , pari al numero 
		delle compagnie di giro presenti nella nostra regione, ed avrete un 
		quadro di riferimento che vi informerà sulle occasioni, limitate, che 
		può ancora sfruttare il nostro dialetto, assieme alla cultura di cui è 
		portatore, per esprimere appieno tutto quello che una volta pervadeva in 
		modo naturale l’intero nostro modo di vivere. Boccate di ossigeno, 
		niente di più, che contrapponiamo ai cambiamenti e ai rimescolamenti con 
		cui i processi moderni si annunciano. In una terra, teatro per millenni 
		di scorribande di genti in armi occupati solo a seminare violenze e 
		sopraffazioni con conseguenti miscugli di sangue,  comunque una nostra 
		identità ce la siamo conquistata e noi moderni commedianti, nel nostro 
		peregrinare non facciamo altro che gettare secchiate di acqua pura 
		contro il grande incendio della globalizzazione che avanza… 
		                                                           Giorgio Barlotti  |